Alla fine degli anni ’60 nella pubblicità di Carosello impazzava il tormentone «E mò e mò… Mo-plen!» del comico Gino Bramieri. Una battuta che era entrata nei modi di dire dell’epoca e che rappresentava la modernità di un materiale rivoluzionario: la plastica. Erano sottolineate le caratteristiche di leggerezza, resistenza, economicità e indistruttibilità. Un prodotto davvero indistruttibile, come abbiamo scoperto dopo, ma all’epoca sembrava una delle sue maggiori qualità.
Il moplen (polipropilene isotattico) fu inventato in Italia negli anni Cinquanta e cominciò a diffondersi con un minuzioso porta a porta. In tanti paesi dell’Italia più profonda passavano di casa in casa dei robivecchi, stracciaroli, raccoglitori in cerca di vari oggetti che barattavano con una bacinella o un secchio di plastica. Nei paesi del Sud non era inconsueto che le donne cedessero i propri capelli in cambio di un oggetto di plastica. Quello sembrava il futuro.
Qualche decennio più tardi, al largo del Pacifico comincia a formarsi il “Pacific Trash Vortex”, un addensamento di pezzi di plastica che le correnti marine trasformano in un vortice, un’isola a bassa intensità, che modifica pesantemente gli equilibri dell’ecosistema marino. L’estensione di questo addensamento di plastiche è colossale, si stima da 1 a 10 milioni di chilometri quadrati (tanto per ricordare: l’Italia è poco più di 300mila kmq e gli Stati Uniti poco meno di 10 milioni di kmq). Nel tempo negli oceani si sono creati altri vortici di plastica, isole latenti senza vita e talvolta pericolose per la navigazione. Questa brodaglia, il “marine litter”, costa all’Europa 500 milioni di euro all’anno solo per i settori del turismo e della pesca. Qualcuno potrebbe pensare che il problema sia confinato in luoghi remoti e comunque molto lontani da noi, ma non è così. Le materie plastiche possono disintegrarsi in pezzi molto piccoli, ma sostanzialmente non si biodegradano. I polimeri che le compongono entrano nella catena alimentare, perché queste particelle vengono scambiate per plancton o altri tipi di cibo da molti animali marini.
E recentemente sono state trovate per la prima volta microplastiche nella placenta umana…
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Plastica: una tonnellata per ogni essere umano sulla Terra
Il nostro mare è invaso dalla plastica. Ne produciamo quasi 400 milioni di tonnellate all’anno. Il 9% è riciclato, il 12% è incenerito, il resto è ancora in giro. Stiamo tutti mangiando particelle di microplastica e nessuno sa che effetti potremo subire. Li chiamiamo rifiuti “marini”, ma arrivano soprattutto da terra. Non deturpano solo la spiaggia, ma rappresentano un rischio crescente per l’ambiente, l’economia e la nostra salute.
Cosa possiamo fare? A volte inquiniamo senza rendercene conto, con gesti all’apparenza innocui. Spesso bastano dei piccoli accorgimenti a fare la differenza: mai gettare rifiuti in giro (e attenzione anche all’inquinamento inconsapevole!). Raccogliamo qualche oggetto abbandonato durante una passeggiata, l’esempio vale di più di tante parole. Usiamo meno plastica usa&getta, ricicliamo più e meglio. Migliorerà l’ambiente e la nostra salute.