È uno di quei casi in cui si può dire senza presunzione: lo avevamo detto. O meglio ce l’avevano detto gli scienziati e le scienziate dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che hanno realizzato report – che dovrebbero essere base di lavoro per la politica, l’amministrazione locale, imprese, associazioni, cittadinanza – in cui era previsto che il 2023 sarebbe stato un anno da record per i cambiamenti climatici.
OpenPolis offre una sintesi illuminante: “Il 2023 è stato l’unico anno in cui il 100% dei giorni ha registrato un’anomalia (segue il 2019, con 363 giorni su 365). Inoltre lo scorso è stato anche l’anno con più giorni con oltre 1,5 gradi centigradi di anomalia: oltre il 47% del totale. 173 giorni hanno registrato un’anomalia di oltre 1,5°C. Sono 192 i giorni in cui l’anomalia è stata compresa tra il grado e il grado e mezzo e ben 173 quelli in cui ha superato la soglia del grado e mezzo. Una cifra, quest’ultima, particolarmente notevole e preoccupante, se pensiamo che il valore più alto, finora, erano stati i 77 giorni del 2016. Due giorni, ovvero il 17 e il 18 novembre, hanno addirittura superato la soglia dei 2 gradi – quella scongiurata dall’accordo di Parigi per via degli effetti irrecuperabili che avrebbe sull’ambiente”.
La buona notizia, che segue la conferma della previsione, è che la scienza ha anche da tempo compreso quali sono i fattori che causano il riscaldamento globale e ha già offerto possibili soluzioni, indicando quali potrebbero essere le tecnologie e gli investimenti necessari da qui al 2050 per contenere i danni maggiori e ridurre le emissioni di gas serra.
L’Europa si è impegnata a ridurle del 55% entro il 2030. Manca poco, pochissimo. E mentre scriviamo, a febbraio 2024 fa caldo, siamo di nuovo con temperature sopra la media stagionale, una finta primavera che inganna api e insetti impollinatori e che mette in serio rischio la loro sopravvivenza.