Fino alla metà, o poco più, del secolo scorso, una comune pratica quotidiana suggeriva di riusare, aggiustare, riutilizzare oggetti, materiali, o strumenti usati, rotti o usurati.
Non si buttava quasi niente.
In origine la ragione era proprio economica, poi nel tempo diventò un’abitudine, un modo di fare, un comportamento di vita.
Il retaggio della guerra, quando mancava tutto, proseguì per molto tempo e, soprattutto nelle campagne, si incontravano spesso artigiani che, per esempio, riparavano piatti o pentole rotte.
Il germe del consumismo comunque già circolava e dalla fine della seconda guerra mondiale, i soldati americani ne divennero il simbolo: un consumismo che allora a tanti sembrava il futuro, ma non a tutti.
Qualche giorno fa mi sono trovato a recuperare dei chiodi usati.
Forse mi potranno essere utili.
Naturalmente so che converrebbe comprarli nuovi, ma a me piace proprio l’idea del riuso.
“Il sistema economico mira ai consumi, senza preoccuparsi della dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente”, dice Papa Francesco.
Oggi il tema del cambiamento del nostro modello economico deve essere al primo punto: produce ricchezza per molti, ma miseria per troppi.
È singolare che la politica sia disposta a occuparsi di tutto ma non della sopravvivenza umana.
Eppure cambiare direzione è ancora possibile: clima, sistema energetico, trasporti, cibo.
Orientare in senso ecologico le scelte di cittadini – ma subito. E da subito ognuno di noi può fare qualcosa.
Le rivoluzioni cominciano così.
Recuperando i chiodi mi è tornato in mente quello che faceva mio padre quando in officina recuperava ogni cosa, dai motori ai bulloni, e quando qualcuno di noi lo prendeva in giro perché riparava cose impossibili, ci rispondeva serafico: “siete tutti americani!”