Tuttə pazzə per gli alberi. Parola di Marco Nieri, bioricercatore e ecodesigner, che argomenta con dati ‘social’ alla mano: su instagram con l’hashtag #albero si trovano circa un milione di foto, diventano 65 milioni con l’hashtag internazionale #tree, albero in inglese.
Passeggiare nel bosco o ammirare la chioma di un albero è qualcosa che suscita sensazioni di benessere circolare, perché stare nel verde fa bene a noi ma anche alle piante.
Abbiamo cercato di capire meglio come avviene questo incontro fra noi umani e il mondo vegetale con Marco Nieri, che da anni si occupa dell’energia benefica degli alberi, e con Marco Arnoldi, coach immaginale e forest therapy guide.
Professor Nieri, che cosa si intende per bioelettromagnetismo vegetale ed effetti sul corpo umano?
Significa che tutti gli esseri viventi comunicano con la chimica ma anche a livello energetico attraverso campi elettromagnetici. Ho collaborato per molti anni con il ricercatore belga Walter Kunnen che studiava l’influenza energetica della biosfera sugli esseri viventi. Ogni singola cellula, così come i nostri organi, sono al tempo stesso ricettori ed emettitori di campi bioelettromagnetici che comunicano per risonanza con l’ambiente e con quelli emessi da altri esseri viventi. Gli alberi ad esempio emettono campi di intensità molto bassa ma in grado di interagire con i nostri organi.
Come è possibile verificare questa comunicazione?
È possibile fare delle misurazioni e rilevare quello che accade con l’antenna Lecher polarizzata, uno strumento biofisico che ci permette di effettuare raffinate misurazioni della intensità e della qualità elettromagnetica della biosfera in un luogo, sia all’aperto che all’interno degli edifici, e di determinare la sua reale influenza sugli esseri viventi. È con queste misurazioni che abbiamo capito che i campi bioelettromagnetici emessi dagli alberi riescono a sostenere e alimentare in varia misura il funzionamento energetico dei nostri organi, con intensità che variano da luogo a luogo e da pianta a pianta.
Si può parlare di effetto terapeutico degli alberi?
Entrare in contatto con gli alberi non è una “terapia” medica, ma contribuisce al benessere complessivo della persona. Sappiamo che camminare fra gli alberi o abbracciarli può avere effetti benefici ad esempio sullo stress. Allo stesso tempo abbiamo verificato che anche agli alberi fa bene l’incontro con i nostri campi elettromagnetici, cosa che registriamo misurando l’incremento del “loro” sistema immunitario quando li tocchiamo o abbracciamo. E un fenomeno molto suggestivo che possiamo misurare è che gli abbracci dei bimbə hanno un effetto ancora più intenso sugli alberi.
C’è un metodo particolare di avvicinamento agli alberi per beneficiare della loro energia?
Da tempo abbiamo compreso che in certe condizioni magnetiche del sito gli alberi possono agire favorevolmente sull’organismo anche fino a diversi metri di distanza. Da qui l’idea, che per ora è stata realizzata a livello pubblico a Bolzano e Venezia, di parchi con percorsi bioenergetici a disposizione della popolazione. Qui abbiamo mappato precisamente l’area a disposizione e creato delle aree di sosta dove diversi alberi esercitano influenze energetiche particolarmente favorevoli su specifici organi, con appositi cartelli esplicativi e panchine ad hoc per il ‘cuore’, il ‘fegato’ etc… Sostare in questi luoghi per alcuni minuti genera una risposta biologica che l’organismo riconosce come molto benefica. Non possiamo parlare di effetti terapeutici nel senso medico del termine, ma di un complessivo sostegno al benessere.
Il rigore scientifico di Marco Nieri è sottolineato da Marco Arnoldi che dopo un periodo come consulente aziendale per la sicurezza nei luoghi di lavoro ha studiato per diventare coach immaginale e forest therapy guide, che significa “lavorare con le persone sul piano spirituale per avvicinarle maggiormente alla Natura”.
Che cosa vuol dire coach immaginale?
È un approccio che mette al centro del lavoro con la persona le immagini – quelle che arrivano dalle emozioni, dagli affetti o da fatti particolari della propria vita – per provare a togliere il giudizio che spesso torna nel coaching classico dove si lavora molto sulla motivazione della persona, quindi in qualche modo si insiste sull’ego, sul singolo e non sul rapporto con ciò che ci circonda. Da qui l’idea dell’immersione nella Natura dove c’è bellezza e non giudizio. Il Forest Therapy Guide è un istruttore di meditazione che guida in questo percorso.
In che modo il suo lavoro ha incontrato gli studi di Nieri sugli alberi?
Specializzandomi sull’argomento ho conosciuto Nieri, il suo lavoro è fondamentale per entrare in relazione con il bosco e la Natura. Abbiamo due approcci un po’ differenti, oltre alle basi scientifiche, io utilizzo la meditazione e l’unione con gli spiriti della natura attraverso una via laica, ma credo che servano entrambi per lavorare sull’ecologia e il rispetto dell’ambiente in cui viviamo. Sarebbe importante che l’idea dello stare nel ‘verde’ entrasse anche nel mondo del lavoro, come metodo per contrastare gli effetti del tecnostress e anche come possibilità per ripensare gli spazi di lavoro.
Altro punto di incontro fra Arnoldi e Nieri è l’idea che siamo ‘geneticamente strutturati per amare la natura’, anche se il contesto in cui si cresce ha determinato negli ultimi decenni sensibilità diverse.
“C’è un vero richiamo, non a caso nella zona in cui vivo – racconta Arnoldi – nei weekend le valli attorno a Bergamo si riempiono di chi vive in città, in mezzo al cemento. C’è sete di stare in mezzo al verde. Noi umani abbiamo traccia della nostra lunga permanenza nelle foreste scritta nel DNA, ad esempio il colore verde è quello del quale l’uomo può distinguere più sfumature, più di cento. Questo come prova del nostro adattamento all’ambiente circostante per poter sopravvivere ai pericoli della foresta”.
Non solo, aggiunge Nieri, “la biofilia, ci ricorda che neurologicamente l’amore per la Natura è dentro i nostri geni, ma i fattori educativi e culturali sono importanti e possono influenzare l’apprendimento che potremmo ricevere dalla Natura. Dovremmo crescere nuove generazioni che capiscano che è tempo di prenderci cura gli uni degli altri, umani vegetali ed animali”.
La pandemia, con tutte le restrizioni conseguenti, “ha cambiato un po’ le persone – conclude Arnoldi – “che sentono un po’ di più l’esigenza di stare all’aperto. Ma nonostante sempre più persone restano soddisfatte dalle esperienze che proponiamo, parliamo ancora di nicchia. È necessario riuscire ad arrivare a cerchi più ampie di persone, per aumentare la consapevolezza del nostro stare in equilibrio e armonia con la natura e gli animali”.
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