Gli ecosistemi sono a rischio: Osservi una collina e senti solo il vento. Passeggi su una spiaggia e respiri la salsedine. Guardi uno stagno e tutto è immobile. Eppure sai che c’è molto di più nascosto ai tuoi occhi. È la rete degli infiniti collegamenti che interconnettono tutte le forme di vita, animali e vegetali, insieme a un’altra serie infinita di interazioni con l’ambiente, il territorio, il clima… Un ecosistema è la somma di tutto questo. Una rete complessa, che si è strutturata in miliardi di anni e che l’uomo sta modificando dagli ultimi 300 anni.
Bruciando gas fossili e deforestando abbiamo prodotto un aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera che non ha precedenti da almeno un milione di anni. È una situazione del tutto inedita, con un riscaldamento che procede a una velocità mai sperimentata dalla specie umana. Gli scienziati dell’Intergovernmental panel on climate change (IPCC) senza catastrofismi sostengono che oltre un innalzamento della temperatura di 1,5-2 °C entro la fine di questo secolo “c’è l’ignoto”. Ovvero non sappiamo come potranno reagire gli ecosistemi e quindi quale sarà il nostro destino di umani.
Così il concetto di ecosistema è diventato caro alla politica (anche se non a tutta). E la fine del mondo – solo paventata ed eventualmente un po’ più avanti del limite fisico delle nostre singole esistenze – resta solo una notizia. La riduzione delle specie e la perdita di biodiversità procede a ritmo spedito, i sistemi ecologici continuano a funzionare, ma con difficoltà sempre più evidenti. La situazione è ben disegnata dalla teoria dei rivetti: un aeroplano riesce a volare anche se dalla sua fusoliera salta un rivetto, due, tre… continuando così a un certo punto precipiterà. È quello che potrebbe succedere se continuiamo a togliere pezzi agli ecosistemi.
Intanto celebriamo le varie Giornate della Terra, dell’Acqua, del Mare, delle Foreste, degli Alberi, della Biodiversità, del debito ecologico (o Earth Overshoot Day).
Ossia il giorno a partire dal quale viviamo a debito per il resto di quell’anno; è come se una persona spendesse il suo intero stipendio annuale in otto mesi. È quanto accade al nostro credito ecologico: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la mancanza di cibo e di acqua dimostrano che non possiamo continuare a finanziare i nostri consumi indebitandoci. In pratica viviamo a credito dei nostri nipoti. Captiamo l’acqua fossile, perché quella che si ricarica spontaneamente nelle falde non è più sufficiente; preleviamo risorse naturali, minerali, alieutiche; perdiamo territorio e biodiversità; produciamo rifiuti e inquinamento con gas serra che sono imputati del caos climatico. Un disastro ecologico ampiamente annunciato, e per il quale pagheranno le generazioni future, che ci dà la misura della nostra impronta ecologica, ossia il carico sull’ambientale che deriva dagli stili di vita di ciascuno di noi, diverso da paese a paese. Per quella statunitense, ad esempio, ci vorrebbero le risorse degli ecosistemi di una decina di pianeti Terra, per essere in equilibrio.
Il modello economico che prevede di produrre-vendere-consumare all’interno della Biosfera, utilizzando, ma spesso si dovrebbe dire depredando, le risorse degli ecosistemi, non funziona.
La ragione è semplice: le disponibilità di materie provenienti dagli ecosistemi sono sovrautilizzate e non hanno il tempo di rinnovarsi. Tanto per fare un esempio, un peschereccio oceanico con una sola calata di reti (qualche ora di lavoro) pesca 150 tonnellate di tonni.
Il nostro modello economico coinvolge la natura, gli ecosistemi, senza diritti e senza rappresentanze. La produzione illimitata di ricchezza, che ha dato consenso a questo modello, coincide sempre più perfettamente con la distruzione di ecosistemi limitati, fonti del nostro benessere. Siamo dentro un cortocircuito in cui l’interesse finanziario si alimenta impoverendo in maniera irreversibile i beni comuni della terra, ossia gli stessi ecosistemi da cui tra beneficio.
In questa situazione i veri nemici dell’ambiente sono coloro che continuano ad inneggiare all’aumento dei consumi, che è la causa dei problemi. È necessario trovare nuovi equilibri dei sistemi di produzione e consumo, secondo principi di equità sociale ed economica e definire come e a quali condizioni produrre. Si potrebbe cominciare, ad esempio, dal ridurre il sostegno economico alle fonti fossili, oggi finanziate assai di più di quelle rinnovabili.
La realtà è complessa e piena di contraddizioni che non possono essere certamente superate da una cultura dominata dal pensiero binario, fatta di opposizioni. Esistono tutta una serie di strumenti, dagli incentivi alla fiscalità, che potrebbero portare rapidamente a orientare diversamente l’uso delle risorse ambientali disponibili, per favorire quella transizione ecologica per ora solo declamata. Traguardando più in là vale sempre il sillogismo che la giustizia sociale porta sempre con sé la giustizia ambientale e viceversa.