Il cane
L’origine dell’urbanistica, quindi delle città risale agli albori della civiltà, quando l’uomo muta la sua condizione: da cacciatore-raccoglitore diventa agricoltore-allevatore. Capanne e palafitte prendono il posto di grotte, caverne e degli instabili ricoveri occasionali. Di lì il passo è breve per arrivare alle prime case di fango, ai primi agglomerati, ai primi villaggi, alle case in mattoni delle città. Questo punto di passaggio segna l’abbandono del nomadismo e la scelta di un luogo in cui insediarsi: comincia la trasformazione dell’ambiente, si costruisce il territorio antropizzato, e in una lontana prospettiva si scorge la scintilla dell’urbanizzazione. È il cane “l’invenzione” che catalizza il successo di questa nuova condizione.
La definitiva domesticazione del lupo risale a circa 15.000 anni fa, quando appunto l’uomo trasforma un consumatore (il lupo) in un produttore (il cane). L’esigenze del suo insediarsi in un luogo sono soddisfatte da questa nuova “fonte energetica”. Il cane appunto, che fino a quel momento era vissuto ai margini degli accampamenti dell’uomo, nutrendosi dei residui della caccia e che ancora prima rappresentava un concreto pericolo.
La convenienza reciproca segna un patto interspecifico: l’uomo sfama il cane e il cane lavora per l’uomo, conduce e controlla le greggi e le difende dai predatori. Tutto questo implica la necessità di una territorialità degli ambiti d’azione. L’uomo quindi, trova conveniente insediarsi e costruirsi una dimora stabile: è l’origine dell’urbanistica.
Il purgatorio
Intorno all’anno 1200 un’altra “invenzione” fondamentale si affaccia sulla scena della civiltà: è il purgatorio. Dopo un dibattito latente di qualche secolo si consolida l’idea di un “terzo luogo” nella geografia dell’aldilà, un terzo luogo che le Sacre Scritture ignoravano. Per una società così fortemente permeata dalla religione cristiana è un cambiamento sostanziale, che protrae i suoi effetti dalla tarda antichità alla rivoluzione industriale, fino a noi. Il modello dualista delle religioni e delle civiltà anteriori al cristianesimo si basava sul bene e il male, sulla condanna e l’assoluzione, sull’assoluto della condizione ultraterrena.
Il purgatorio modifica l’idea stessa di universo, avvia una rivoluzione mentale rispetto alle concezioni della vita, di ciò che viene dopo di essa, della sintonia tra tempo storico, terrestre e quello escatologico.
La codificazione di questa nuova concezione dell’aldilà produce una lenta e progressiva modificazione dei comportamenti sociali: niente è più assoluto. La resurrezione nel paradiso non è preclusa aprioristicamente ad alcuno. Si introduce “il doppio giudizio”: uno al momento della morte, l’altro alla fine dei tempi. In questo spazio intermedio un complesso processo di mitigazione della pena può produrre la riduzione della pena stessa e addirittura sanare la posizione del peccatore.
In urbanistica viene praticato lo stesso concetto: le sanatorie edilizie si fondano su un identico presupposto ideale. L’abusivo, che chiede di sanare quanto illecitamente prodotto, ricorre a un artificio, a una soluzione di concezione tutta cristiana, quella del purgatorio, del condono. Paghi un obolo e mitighi, o annulli, la tua colpa. Dal punto di vista sociale nessuna riprovazione, hai espiato la tua pena e sei al pari di tutte le altre anime. Anzi, hai sofferto un po’ di più e sei quindi ancor più meritevole di un completo perdono.
Il cerchio è chiuso. Dal cane al purgatorio la città moderna è servita!
Al contrario, per avere una pianificazione urbanistica efficace, bisogna scardinare l’idea che i danni prodotti dagli abusi edilizi siano tollerati perché sempre condonabili.
Gli abusi edilizi, una volta sanati, devono ricevere tutti i servizi a rete (strade, fognature, luce, gas, telefono, trasporti pubblici, scuolabus, raccolta rifiuti…). Il costo di questi servizi è molto alto per una tipologia edilizia che in genere è di tipo diffuso (palazzine e villette delle propaggini urbane) e non è per nulla pareggiato dai costi della sanatoria. Quindi tollerare gli abusi non è un buon affare neanche dal punto di vista finanziario.
Molto spesso lo è invece dal punto di vista elettorale: la politica chiude un occhio, puntando poi sul sostegno in fase elettorale di chi è stato favorito.
Insomma, in questi casi le campagne elettorali le pagano i cittadini con la svendita di un bene pubblico, il loro territorio.