Intervistiamo Gianluca Telera dottore commercialista e revisore contabile (nato nel 1979), uno dei tre soci fondatori dello studio Girotti di Bologna. Ha sempre manifestato un forte interesse per le tematiche ambientali, oggi in forte sviluppo. E’ da diversi anni membro del comitato scientifico dell’Osservatorio Ambiente dell’Emilia Romagna. Si occupa dei diversi aspetti delle problematiche dell’ambiente a partire dalla sostenibilità. Ecco cosa ci racconta.
1-D-Uno dei settori di cui si occupa lo studio Girotti è la consulenza ambientale specie sui rifiuti. Ci vuole spiegare cos’è?
R-Sì. In sostanza proviamo ad accompagnare soprattutto le imprese “produttrici di rifiuti” verso la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile offrendo appunto la nostra consulenza per affrontare insieme qualsiasi problematica di tipo ambientale. Riusciamo a far questo anche grazie a una completa e multidisciplinare compagine di collaboratori dello studio interni ed esterni. Solo per avere un’idea (Dati Rapporti ISPRA 2018) in Italia sono stati prodotti 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Ci occupiamo a tutto tondo, di rifiuti ma il nostro focus è appunto sui “produttori di rifiuti” speciali. Facciamo davvero un po’ di tutto per loro: dalla pianificazione di un sistema integrato di gestione dei rifiuti alla stesura e presentazione agli enti competenti delle varie pratiche autorizzative in relazione ai rifiuti stessi. Redigiamo Due Diligence ambientali e nello specifico Due Diligence di compliance normativa in materia di rifiuti, verifiche periodiche e Audit della Gestione dei Rifiuti. Supporto nella gestione degli adempimenti come la redazione del MUD (NDR – Modello Unico di dichiarazione Ambientale), presentazione di domande di detassazione TARES. Formazione e aggiornamento formativo sulla gestione dei rifiuti del personale amministrativo e di quello operativo.
2-D-Di quali rifiuti in particolare vi occupate?
R-Ci occupiamo di tutti i tipi di rifiuti. Abbiamo un’expertise particolare per quello che riguarda i rifiuti da manutenzione, rifiuti sanitari e RAEE.
3-D-In questo ambito che tipo di consulenza/assistenza offrite alle aziende?
R-Cerchiamo di coprire tutti gli ambiti di consulenza. Ovviamente ogni azienda in base alla tipologia di rifiuti che produce ha diverse esigenze. La parte più difficile del nostro lavoro è proprio cercare di individuare per ogni singolo cliente e per ogni tipologia di rifiuto prodotto o gestito la migliore soluzione in termini di efficientamento dei processi di gestione di questi rifiuti, miglioramento delle condizioni ambientali ed economiche. Ad esempio: i produttori di rifiuti di manutenzione di reti e infrastrutture e/o manutenzione generiche (artt. 230 e 266c4 del DLgs 152/06) hanno sicuramente esigenze particolari in merito ai depositi temporanei e dei luoghi di produzione dei rifiuti, essendoci una normativa che deroga per le manutenzioni generiche e che per le manutenzioni specifiche di reti è molto particolare. I produttori di rifiuti sanitari hanno tutte le problematiche in relazione alla pericolosità dei rifiuti e al rischio infettivo o rischio di altro genere e, di conseguenza, le difficoltà in materia di trasporto e sterilizzazione. I RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) hanno un iter autorizzativo che include, in relazione alle disposizioni in merito di Responsabilità estesa del produttore, la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione dell’intero ciclo di vita in cui il prodotto diventa rifiuto.
4-D-Perché anche una piccola-media impresa dovrebbe occuparsi di questi argomenti?
R- Tutte le aziende sono coinvolte in una corretta gestione dei rifiuti e soprattutto in una corretta e proficua sostenibilità e tutela ambientale. Costruire in Italia una strategia integrata che riguardi questi temi deve necessariamente affrontare il tema delle PMI. Il numero delle PMI in Italia sono orientativamente 145.000 quindi una percentuale che si aggira intorno al 95% dell’interno connettivo d’impresa. Lo stesso Edo Ronchi riferiva che l’80% dell’impatto ambientale del settore industriale in Italia è da intendersi dovuto alle attività delle PMI. Le stesse PMI dovrebbero, e secondo me tante lo stanno già facendo, guardare ai temi della tutela ambientale e della sostenibilità non più in un’ottica predittiva di Disk Analysis ma in un’ottica maggiormente qualitativa di opportunità di miglioramento dei propri processi e delle proprie finanze. Non penso soltanto alle opportunità di comunicazione del proprio prodotto e del proprio brand (rifiutando ovviamente la pur sempre presente pratica del Greenwashing), ma soprattutto alle opportunità economiche e finanziarie che la stessa Economia Circolare può offrire.
5-D-Siete impegnati anche nella sostenibilità?
R- Si. E dedichiamo notevoli sforzi a questi temi.
Sono personalmente nonché emotivamente coinvolto in questo tipo di lavoro e credo (proprio per la sua concezione integrale in relazione ad ambiente, società e impresa) che debbano occuparsene tutti.
Con l’adozione dei 17 obiettivi – i Sustainable Development Goals (SDGs) – e i 169 sotto-obiettivi (target) de l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile da parte dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, si è avuto un importante incremento delle azioni da intraprendere rispetto ai Millennium Development Goals.
Gli SDGs riconoscono alle aziende un ruolo chiave e determinante per lo sviluppo sostenibile. E’ richiesto, infatti, a ogni tipologia d’impresa un approccio fortemente proattivo allo sviluppo sostenibile per i prossimi 12 anni, attraverso lo sviluppo di nuovi modelli di business responsabile, gli investimenti, l’innovazione, il potenziamento tecnologico e l’azione in partnership.
Noi Commercialisti consulenti d’impresa abbiamo l’obbligo di accompagnare ogni impresa in questo shift di paradigma… Proprio noi che siamo a contatto ogni giorno con diverse e molteplici realtà dobbiamo investirci di questo ruolo e fare la nostra parte.
Proprio nei giorni scorsi Oxfam (NDR-Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo) ha pubblicato il rapporto Walking the Talk 2018, che analizza quello che 76 fra le maggiori aziende private del mondo stanno facendo per abbracciare gli SDGs. Il rapporto conferma che soltanto un paio di aziende hanno già inserito i 17 Obiettivi all’interno delle linea guida per la definizione della propria strategia di sostenibilità ma già la metà ha preannunciato azioni per l’inserimento degli stessi nel prossimo futuro.
Per ora tutto è lasciato alla volontarietà dei singoli stessi. L’obbligo ai sensi della Direttiva 2014/95/UE attuata in Italia con il Dlgs 254 30 Dicembre 2016 riguarda soltanto le aziende di interesse pubblico o con più di cinquecento dipendenti, il cui bilancio consolidato soddisfi determinati criteri di Bilancio stabiliti dalla legge. Anche gli Standard sono volontari, ma ormai il GRI (Global Reporting Iniziative) è diventato un riferimento per la stragrande maggioranza delle imprese che si avvicinano alla reportistica di sostenibilità. E questo è a mio avviso molto positivo. Sicuramente avere una metodologia condivisa significa poter attuare una metodologia di confronto efficiente delle varie realtà. Ma anche senza obblighi normativi vedo le aziende sempre più vicine a questi temi.
6- D -Che cosa pensate dell’economia circolare?
R-E’ una rivoluzione.
Rivoluzione che può forse risolvere alcuni dei problemi che opprimono il nostro tessuto produttivo. Può diventare davvero un’ottima opportunità per l’Italia in genere. Bisogna crederci e lavorarci sodo. Ma in questo l’Italia è sicuramente avanti.
L’economia circolare ponendo le basi su teorie vicine a quelle dell’economia ambientale (non mettendo quindi in discussione la crescita del sistema economico e attribuendo molta fiducia all’innovazione tecnologica e all’efficientamento dei processi produttivi) rientra nelle pratiche di sostenibilità debole, che sconta sicuramente una maggiore applicabilità pragmatica ma che deve essere implementata nel più breve tempo possibile se vogliamo che i risultati ottenuti abbiano un reale effetto sul sistema globale. In questo le istituzioni e una politica forte devono fare la loro parte. Il “Pacchetto economia circolare” – quattro direttive che modificano sei direttive su rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE), veicoli fuori uso e pile, è un buon inizio. I suoi obiettivi sono ambiziosi ma realistici. E’ previsto il riciclaggio entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035), mentre per le discariche è previsto un abbassamento della quota destinabile a smaltimento fino a un massimo del 10% entro il 2035. Per gli imballaggi il 65% entro il 2025 dovrà essere riciclato e il 70% entro il 2030. I rifiuti tessili e quelli pericolosi delle famiglie dovranno essere raccolti separatamente dal 2025, mentre entro il 2024 lo stesso per i rifiuti biodegradabili. Questo solo per elencare alcuni obiettivi, ma la portata delle direttive è ben più ampia.
L’economia circolare può in un paese come il nostro essere davvero un paradigma vincente. Saper trasformare al minimo livello di consumo di beni naturali oggi può diventare una grande virtù. Inoltre, associare il connotato di “circular goods” ai prodotti del Made in Italy può rafforzare il carattere distintivo delle nostre produzioni.
Il ruolo della politica e delle istituzioni però resta principale. Non basta avere un impianto relativamente ai Criteri Ambientali Minimi (GPP-Green Public Procurement) tra i migliori in Europa per stimolare la Circular Economy. Dobbiamo risolvere nel più breve tempo possibile l’angosciosa questione del blocco autorizzativo per l’End of Waste. Il Consiglio di Stato con la sentenza 28 febbraio 2018, n.1229, ha decretato che è soltanto lo Stato e/o la Commissione Ue ad avere il potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi della direttiva 2008/98/Ce. Il Ministero dell’ambiente a oggi ha soltanto sparso rassicurazione e temporeggiato appellandosi ai tempi tecnici per preparare i criteri EOW. E a nulla per ora sono valse le proteste di un intero settore, quello dei riciclatori, che è arrivato anche ad animare un importante protesta all’ultima edizione di Ecomondo. Come recitava questa protesta anche a me sembra che: ”Senza End of Waste l’economia circolare è una bufala”.
Ringraziamo Gianluca Telera con il quale ci terremo costantemente in contatto.