Intervista ad Augusto Bianchini, Amministratore Delegato di Turtle e docente all’università di Bologna, esperto di organizzazione aziendale, di strumentazione e automazione industriale e di economia circolare e sostenibilità.
Turtle è uno spin-off dell’Università di Bologna: può spiegare al pubblico molto vario di Phoresta, in che cosa consiste il progetto?
Il progetto consiste nel supportare le aziende di diversi settori industriali, ma anche il settore agricolo e quello della moda, nel percorso di transizione verso la sostenibilità attraverso due step principali: la misurazione di cosa si è fatto finora e poi la progettazione di un piano che tenga conto sia l’aspetto ambientale che quella sociale.
E quanta resistenza rilevate da parte del mondo delle imprese a farsi “misurare”?
La disponibilità in generale c’è a fronte di un progetto serio, quando l’impresa percepisce il valore di quello che si sta facendo ci fornisce i dati necessari. Questi dati a volte ci sono, a volte vanno cercati e gestiti. Per questo è importante una prima fase di digitalizzazione dei dati della sostenibilità per poi partire col progetto.
Quali sono i dati principali che vanno rilevati o cercati?
Rispetto all’ambiente le macroaree sono: energia, rifiuti, acqua e trasporti. Per quanto riguarda la sostenibilità sociale si lavora sull’impatto su lavoratrici e lavoratori, sulla comunità circostante l’azienda, e poi fornitori e clienti. Questi sono gli otto pilastri fondamentali a cui aggiungere la Governance per poter avere una visione completa. C’è anche da considerare che in un bilancio di sostenibilità le aziende devono calcolare oltre 200 indicatori. Forse una grande impresa riesce a farlo realizzando una foto del passato (il bilancio), ma si interverrebbe in ritardo. Mentre l’idea di questo spin off è di trovare un set di indicatori più ristretto ma più significativo che facilita oltre le grandi anche aziende medio piccole ad avviare un percorso di scelte verso la sostenibilità.
Avete ideato un software, Vivace, che serve dunque per misurare i dati?
Sì, andiamo noi a prendere i dati in azienda e poi il software elabora gli indicatori più utili.
In quali ambiti è indicato questo metodo?
Abbiamo circa 40 partner in 7 filiere diverse che vanno dal farmaceutico all’agrofood, dalla moda al metalmeccanico. Ha mostrato una duttilità interessante come tutti i modelli organizzativi applicabili in vari contesti.
Lei è anche un esperto di gestione dei rifiuti nel contesto dell’economia circolare, in alcuni territori si fa molta fatica a far capire l’importanza di una corretta gestione anche attraverso impianti industriali innovativi: cosa manca, la corretta informazione o ci sono chiusure ideologiche?
La prima differenza da fare è fra rifiuto industriale e rifiuto civile. Nel secondo caso la cittadinanza può differenziare se viene messa nelle condizione di farlo, in questo caso andrebbe ripensato l’intero ciclo di vita del prodotto. Poi c’è certamente una questione di cultura, ma c’è bisogno di tempo perché alcuni comportamenti cambino, forse generazioni. Poi c’è un livello politico strategico che deve spingere sulla parte alta della piramide dei rifiuti e in particolare la prevenzione: cosa fare per non produrre tutti questi rifiuti? Questo è un tema industriale e di eco-design di prodotto.
Un altro aspetto su cui Turtle è impegnata è la carbon neutrality, cosa consigliate di fare alle aziende per ridurre le emissioni e compensarle al meglio?
Prima di tutto, vorrei specificare che pensare di fare la transizione alla sostenibilità solo con la compensazione non è corretto. Non c’è sufficiente stoccaggio di CO2 al momento, per cui bisogna partire dall’efficientamento dei sistemi produttivi, ossia fare le stesse cose con meno emissioni di GHG. Poi c’è un secondo passaggio che prevede l’uso di fonti rinnovabili per essere più autonomi e di nuovo ridurre le emissioni di GHG. Infine, c’è la compensazione, sostenuta anche dalla piantumazione, che in questa fase è importante per recuperare tempo per fare la transizione. A fine anno dovrebbe anche arrivare il regolamento sulla direttiva della Commissione Europea che riguarda i crediti di carbonio e come calcolarli. Chi ha già attivato delle procedure in merito saprà come misurare i crediti.
In che modo si può spiegare al grande pubblico di non addetti ai lavori di cosa parliamo quando parliamo di “Life Cycle Assesment”?
In maniera molto sintetica e divulgativa è la possibilità di stimare, non misurare, l’impatto da diversi punti di vista – dalla C02 ma anche la biodiversità – su tutti gli aspetti di un prodotto, dalla produzione al riuso. Dalla culla alla tomba per dirla con uno slogan.
Infine, quale è la sua percezione rispetto alla consapevolezza dell’opinione pubblica su queste tematiche?
Se usiamo la metafora del calcio è come se avessimo giocato il primo tempo, che era quello di far conoscere alla cittadinanza e alle aziende cos’è la sostenibilità. E questo primo tempo è stato vinto, oramai ne parlano tutti. Adesso abbiamo un secondo tempo da giocare, più delicato. Per far passare le aziende dal dire al fare, serve la misurazione. Se non siamo in grado di misurare c’è il rischio che fra 6/7 anni saremo tutti sostenibili, ma senza una reale trasformazione. Racconteremo quanto siamo sostenibili ma nessuno saprà dire quanti kg di CO2 c’è sul suo prodotto. Il secondo tempo da giocare è tutto su questo aspetto.
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