Il Politecnico federale di Zurigo [Eth], considerato il più prestigioso istituto universitario politecnico della Svizzera e uno dei più importanti centri di ricerca al mondo, ha per la prima volta calcolato in cifre assolute fino a quanto la produzione di sostanze chimiche interferisce con il mondo naturale.
Oggetto dello studio sono stati non solo le emissioni di gas serra ma anche l’utilizzo del suolo e il consumo di acqua dolce. Con un metodo che confronta le risorse consumate dai prodotti chimici con il bilancio ecologico del nostro pianeta.
E’ emerso che oltre il 99% delle sostanze chimiche prodotte non è più sostenibile, perché le materie prime da cui sono ricavate sono in esaurimento e non più sostituibili.
I ricercatori che hanno firmato lo studio, in particolare Javier Pérez-Ramírez, professore di Ingegneria della Catalisi a Eth, hanno anche evidenziato che non basta concentrarsi sulle emissioni di CO2 e che non sempre i prodotti chimici “verdi” sono realmente sostenibili.
Ad esempio i biocarburanti possono creare molti danni collaterali ecologici.
Infatti i combustibili ricavati da materie prime vegetali come mais o legno se è vero che rilasciano meno CO2 nell’atmosfera, per produrre la biomassa necessaria hanno bisogno di vaste aree di seminativo, molta acqua e anche fertilizzanti.
Per eseguire quindi la valutazione più completa del ciclo di vita di 492 sostanze chimiche lo studio ha basato i calcoli sui cosiddetti confini planetari.
Ossia nove processi chiave del sistema Terra, come la perdita di biodiversità e i cambiamenti nell’uso del suolo.
I ricercatori hanno quindi calcolato se e in che misura la produzione di queste sostanze supera sette di questi limiti. Hanno rilevato che oltre il 99% delle sostanze chimiche studiate supera almeno un confine planetario.
Considerando che la maggior parte di queste sostanze è ricavata dal petrolio il risultato era in parte previsto.
I ricercatori però sono rimasti sorpresi di verificare che alcune sostanze chimiche superano i limiti biofisici della Terra più di 100 volte.
Ancora uno studio, dunque, che indica che c’è poco tempo per invertire la rotta.