Le polveri sottili sono uno dei fattori scatenanti del contagio da Corona Virus?
Il nuovo corona virus è estremamente contagioso ed è evidente che ci siano individui più vulnerabili al COVID-19 di altri.
Secondo The Scientist, la stragrande maggioranza dei casi di contagio sintomatico è lieve, mentre circa il 14% diventa grave (i dati non sono ancora definitivi).
I dati del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie confermano che le persone anziane e quelle immuno-compromesse potrebbero essere più sensibili alle forme gravi di COVID-19. In Italia si sta verificando lo stesso scenario.
Ma esistono altri fattori ambientali, oltre l’età e i problemi di salute sottostanti che determinano questa vulnerabilità?
Virus e qualità dell’aria, il ruolo delle polveri sottili
Una vasta letteratura scientifica dimostra una correlazione diretta tra l’incidenza dei casi di infezione virale e il particolato atmosferico (le centinaia di polveri presente tra cui le ben note polveri sottili PM10 e PM2,5).
Il particolato atmosferico è considerato il “mezzo di trasporto” dei virus (carrier).
I virus si “attaccano” al substrato creato dalle polveri, restano vitali in atmosfera anche per molto tempo e possono essere trasportati su lunghe distanze.
I ricercatori hanno ricostruito la correlazione tra le varie epidemie e la qualità dell’aria.
Nel 2010 l’influenza aviaria è stata veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri sottili che trasportavano il virus.
Nel 2016 si è avuta una relazione tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano (RSV) nei bambini e le concentrazioni di particolato. Questo virus causa polmoniti in bambini e viene veicolato attraverso il particolato in profondità̀ nei polmoni.
Un’altra ricerca ha dimostrato che nel 2013/2014, in 21 città cinesi, un aumento delle concentrazioni di PM2.5 è correlato positivamente all’incremento del numero di casi di virus del morbillo.
Il caso Corona Virus Covid-19
Secondo la “Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione” promossa dalla Società Italiana di salute ambientale si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio in Pianura Padana e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo.
Il gap temporale si identifica con il periodo di incubazione virus.
Se si analizzano le curve di espansione dell’infezione si evidenzia che nelle Regioni del Sud Italia la crescita è tipica dei contagi da persona a persona.
Nella Pianura Padana, invece, il contagio ha avuto un’accelerazione anomala, con focolai virulenti: secondo gli autori della relazione la spiegazione potrebbe essere data dalla presenza di un “veicolante”, di qualcos’altro che aiuta la trasmissione del virus.
Secondo queste analisi quindi la relazione tra COVID-19 e lo stato di inquinamento da PM10 e PM2,5 sarebbe simile a quella riportata dagli studi sulle epidemie precedenti.
L’ipotesi dei ricercatori è che l’inquinamento atmosferico, e in particolare le polveri sottili, siano sia un veicolo che un diffusore del virus.
Le ricerche continueranno per verificare se la tendenza analizzata nella relazione viene confermata.
Perché ci si ammala di più nelle zone con alto inquinamento atmosferico?
L’inquinamento atmosferico, così come il fumo, danneggia i polmoni e rende più difficile combattere le infezioni respiratorie.
Lo Iarc (International Agency for Research on Cancer), nella sua pubblicazione n. 161 “Air Pollution and Cancer”, afferma che “ogni persona respira circa 10.000 litri di aria ogni giorno. Quindi ogni giorno i polmoni ricevono dosi significative di contaminanti, anche se le loro concentrazioni sono quasi nulle o basse”.
Come conseguenza, l’esposizione a ozono, polveri sottili e altri componenti inquinanti, a lungo termine, infiammano i polmoni.
“Quando un inquinante entra nel polmone, il polmone lo tratta come un invasore estraneo e avvia un intero processo di difesa”, ha dichiarato al Los Angeles Time Michael Jerrett,professore di scienze della salute ambientale presso la UCLA Fielding School of Public Health.
Le cellule cercano di rimuovere l’inquinante, e col tempo si genera un’infiammazione.
“Una volta che il polmone è infiammato, la capacità di un virus di penetrare è elevata. Arriva sino agli alveoli e da lì riduce il trasporto dell’ossigeno nel flusso sanguigno e si diffonde.
La capacità di reazione dei polmoni infiammati è ridotta perché stanno già combattendo contro le polveri sottili” ha detto Jerrett. “Se entra un altro “invasore”, la loro difesa è già diminuita.”
Statisticamente quando l’inquinamento aumenta, gli ospedali vedono un aumento dei ricoveri per la polmonite pochi giorni dopo.
È quindi probabile che le persone che sono esposte a ad alti livelli di inquinamento atmosferico o che fumano non riescano a reagire al COVID-19 rispetto a quelle che respirano aria più pulita e che non fumano.
Inquinamento atmosferico, polveri sottili e salute pubblica
A livello globale, l’inquinamento atmosferico è la più grande minaccia per la salute ambientale, uccide 4,5 milioni di persone ogni anno, secondo l’organizzazione mondiale della sanità
Le polveri sottili PM10 e PM2,5penetrando in profondità nei polmoni causano ictus, malattie cardiache, cancro ai polmoni e infezioni respiratorie, inclusa la polmonite.
I pazienti con patologie polmonari e cardiache croniche causate o peggiorate dall’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico sono meno in grado di combattere le infezioni polmonari e hanno maggiori probabilità di morire.
Gli scienziati hanno dimostrato la correlazione positiva tra inquinamento e diffusione dei virus e la stessa correlazione sarà probabilmente confermata anche per il Covid-19.
È un dato che fa riflettere ed è ora che gli scienziati non restino inascoltati.
È necessaria una maggiore consapevolezza da parte di tutti ed è il momento di aumentare la pressione sui decisori economici e politici per ridurre l’inquinamento atmosferico.
Molti osservatori sono scettici sul futuro e prevedono che al ritorno alle normali attività, potremmo soccombere ai fenomeni di “revenge pollution” o “airpocalypse”, ossia di incremento esagerato delle emissioni quando le nazioni si affretteranno a recuperare le loro economie.
Allo stato attuale è improbabile che un significativo inquinamento atmosferico scompaia quando riprenderà l’attività regolare.
Sta anche a noi fare delle scelte.
Da cosa consumiamo, all’automobile che acquistiamo.Nella ponderazione delle scelte, oltre il prezzo e altre variabili, ci deve essere sempre e comunque l’impatto sull’ambiente.
Fonti: