Nel precedente numero di Phoresta avevano cominciato a parlare di un post di Li Ziangdong apparso su Nature nella rubrica Comment. Il post (Air Pollution: a global problema needs local fixes) esponeva i motivi per cui questo problema globale necessita di soluzioni locali. In pratica le cause di inquinamento sono molteplici e variabili. In questo secondo post esponiamo le soluzioni ipotizzate da Ziangdong.
Come prima cosa l’autore sostiene che il focus degli studi dovrebbe spostarsi sulla misurazione degli effetti che l’inquinamento atmosferico ha sulla salute. E quindi non solo sulle emissioni e la chimica atmosferica. Questa scelta comporterebbe il coinvolgimento di specialisti di campi molto diversi tra loro come la biologia molecolare, la tossicologia e persino le scienze salutistiche ed economiche. In pratica i ricercatori dovrebbero classificare le fonti del PM2,5 e capire quanto e come sono dannose. Inoltre andrebbe esaminata la tossicità di campioni di aria reale. Ma questo è solo il primo passo che potremmo definire di conoscenza approfondita del fenomeno. Poi questa conoscenza così acquisita dovrebbe essere trasferita in misurazioni locali per controllare i tipi più pericolosi di inquinamento. Per esempio dovrebbero essere fatti sforzi per ridurre le emissioni dovute all’energia di tipo residenziale per ridurre le morti premature – dovute all’inquinamento dell’aria – in Cina e in India. Un sistema potrebbe essere l’uso per il riscaldamento del gas naturale anziché il carbone nel periodo invernale. Ma anche negli Stati Uniti misure di efficientamento energetico dovrebbero diventare prioritarie. Per far questo i dati del WHO (Ndr: Organizzazione Mondiale della Sanità) dovrebbero indicare i paesi caldi cioè a maggior rischio dovuto all’inquinamento PM2,5. In questo elenco dovrebbero essere aggiunti: Niger, India, Egitto e Nepal. Torniamo al WHO che assieme alla banca mondiale dovrebbe fondare una rete di stazioni di navi per monitorare la chimica dell’aria nei punti chiavi determinati dalla ricerca. Proprio sui punti più a rischio andrebbero svolti studi sulle cellule e sugli animali. I risultati andrebbero poi standardizzati per studi anche sulle cellule umane. Ma passiamo a un punto molto importate: i risultati di queste ricerche dovrebbero essere apertamente condivisi e sintetizzati. Per questo occorre un database globale sulla tossicità. Qualcosa del genere esiste già per i dati sulla mortalità in relazione all’inquinamento. Andrebbero anche rilevati i legami tra l’esposizione individuale all’inquinamento e le condizioni di salute. Bisognerebbe poi raccogliere più dati sul comportamento della gente per scoprire come l’attività umana determina l’esposizione all’inquinamento dell’aria. E arriviamo al punto clou: che fare di tutti questi dati? Andrebbero trasferiti in sistemi di allerta e raccomandazioni sulla qualità dell’aria e la gestione della salute. Sintetici avvisi di viaggio dovrebbero essere approntati per aiutare i viaggiatori a evitare – per quanto possibile- le esposizioni pericolose. Per esempio quelle dovute a un traffico particolarmente intenso oppure a condizioni atmosferiche che possono creare foschia. Qualcosa dunque si può fare a patto che si sviluppino collaborazioni tra i ricercatori. Questa alla fin fine è la raccomandazione clou di Ziangdong e dei suoi colleghi.