“E prima di giudicarli con troppa severità dobbiamo ricordare quale spietatezza e distruzione totale la nostra specie ha inferto non solo sugli animali come l’estinto bisonte e il dodo, ma anche sulle sue razze inferiori. (…) Possiamo ergerci ad apostoli della misericordia lamentandoci se i marziani ci aggrediscono con lo stesso spirito?” H.G. Wells, La Guerra dei Mondi.
Il libro “La guerra dei mondi” racconta la drammatica storia di un attacco marziano ai danni del pianeta Terra. Gli alieni sono dotati di armi eccezionali e si scagliano con rabbia contro gli umani riducendoli quasi all’estinzione. Iniziano inoltre a diffondere sulla Terra una strana pianta che ne cambia profondamente l’aspetto rendendolo più simile a Marte. Infine, la specie umana si salva grazie ai batteri che uccidono i marziani non essendone immuni come noi.
Quali conseguenze porterebbe la reale estinzione della specie umana? Che impatto avrebbe sugli ecosistemi e sulle altre specie della terra? Mi dispiace per noi, ma la risposta è: cambierebbe poco o nulla. Le uniche specie destinate ad estinguersi sarebbero le piante e gli animali addomesticati, che dall’uomo dipendono direttamente per sopravvivere. Le altre specie continuerebbero a vivere, a evolversi e ad adattarsi ai nuovi spazi lasciati ormai vuoti dall’uomo.
Lo sappiamo, è un’immagine sconsolante, ma in fondo noi siamo solo una specie tra le circa 8,7 milioni che abitano la terra.
La domanda che dobbiamo farci invece è: che cosa succederebbe se decine di migliaia di specie si estinguessero in poco tempo in una sola regione della terra? L’ecosistema collasserebbe, lentamente, ma inesorabilmente. Pensiamo alle barriere coralline, un ambiente ricco di biodiversità in cui troviamo migliaia di specie diverse. La scomparsa dei coralli nella grande barriera corallina ha finito per lasciare una lunga zona morta al largo delle coste Australiane.
Come nel libro di Wells una singola specie può sconvolgere gli equilibri di un ecosistema: dalla Xilella che ha costretto all’abbattimento di olivi secolari nel sud Italia alla peronospora, un fungo patogeno che ha causato un milione di morti in Irlanda distruggendo interi raccolti di patata. Nel linguaggio scientifico si chiamano specie aliene. Sono estremamente pericolose e si possono combattere partendo dalla conservazione degli habitat naturali e della loro biodiversità.
Esistono persone che hanno fatto della lotta agli alieni la loro missione. Oggi intervistiamo due cacciatori di alieni che stanno combattendo una difficile battaglia nelle foreste di Sao Tome e Principe dove un gigante buono rischia l’estinzione. Il loro progetto si chiama Forest Giant e ha il contributo del National Geographic, dell’Università di Lisbona e della ONG italiana Alisei.
Ve li presentiamo brevemente:
Martina Panisi: laureata in Biologia della Conservazione all’Università di Lisbona. Dottoranda in Biodiversity genetic and evolution all’università di Lisbona, central of ecological evolution and environmental changes.
Vasco Pissarra: laureato in Ecologia marina all’Università di Lisbona e fotografo freelance
Ecco cosa ci hanno detto.
D: Gli alieni sono arrivati a Sao Tome e Principe! Che cosa sta succedendo laggiù?
R: è vero, una nuova specie è arrivata sull’isola. Si è adattata molto bene, si sta moltiplicando. Si sta espandendo sul territorio e fatichiamo molto per respingerla dall’invadere la foresta nativa e unica dell’isola .
D: Sono marziani?
R: No macché, sono lumache! Ma di una specie non nativa di quelle isole.
D: Meno male… raccontaci come sei finita in un’isola africana e qual è la tua missione.
R: Quando sono andata a vivere e a studiare a Lisbona ho scoperto che c’era un’isola africana dove vivevano lumache giganti! Io vado pazza per questi animali! Ho purtroppo scoperto che nell’arco di alcuni anni il numero di queste lumache era precipitato, stavano scomparendo e non si sapeva il perché. Ho iniziato a condurre studi più approfonditi e ho concentrato le mie ricerche scientifiche sullo studio di questa lumaca chiamata lumaca di Obȏ. Da qui nacque il progetto chiamato Forest Giant.
D: Quali sono gli obiettivi principali di Forest Giant?
R: L’obiettivo principale è quello di attualizzare lo stato di conservazione della lumaca di
Obȏ. Cioè valutare le probabilità che questa specie ha di sopravvivere.
Il secondo obiettivo è utilizzare questa specie per sensibilizzare la popolazione locale sulla salvaguardia della foresta e della sua biodiversità. Il progetto ha quindi sia obiettivi scientifici che educativi e divulgativi. L’educazione per noi è la chiave per il successo.
D: Perché sta scomparendo la lumaca di Obȏ?
R: Pensiamo che vi siano più cause che stanno contribuendo. La scomparsa di piante autoctone, l’introduzione da parte dell’uomo di molteplici specie aliene sia animali che vegetali e inoltre la raccolta sconsiderata della lumaca di Obȏ. Abbiamo ancora bisogno di molti dati e di sensibilizzare le persone a salvaguardare la biodiversità dell’isola.
D: Come fate per far nascere la sensibilità delle persone in difesa della biodiversità?
R: Abbiamo deciso di sfruttare l’enorme potere simbolico di questa lumaca. E’ un esempio chiarissimo per loro perché è un animale che avevano sotto gli occhi quotidianamente. E adesso è diventato rarissimo. La perdita totale della lumaca di Obȏ avrebbe un impatto enorme sulla loro vita commerciale, culturale ed emozionale.
D: Perché la lumaca di Ob è così importante per gli abitanti?
R: E’ tradizionalmente utilizzata come alimento e medicinale, ma soprattutto è uno dei simboli delle foreste native di queste isole. È nativa di questi luoghi, proprio come loro. È unica.
D: Qual è l’attuale stato di conservazione della lumaca gigante di Obȏ?
R: Attualmente è classificata come vulnerabile, ma secondo i nostri studi sarebbe già al livello critico. Per poter attribuire un nuovo stato di conservazione a una specie si devono raccogliere molti dati sulla sua distribuzione, la sua ecologia, la sua genetica ecc… E’ un lavoro lungo e difficile.
D: Perché è così importante attribuire a una specie uno stato di conservazione?
R: Perché è da lì che nascono le leggi per la sua salvaguardia.
D: Come cominci il lavoro di salvaguardia di una specie?
R: In questo caso abbiamo iniziato a misurare e comparare il numero di individui della lumaca d’Obȏ e quelli di una specie aliena. Inoltre dovevamo individuare l’ecologia della specie: cosa preferisce mangiare, come si riproduce, in che modo compete con le altre specie ecc..
Dai primi risultati ottenuti la lumaca d’Obȏ era criticamente diminuita e numericamente molto inferiore rispetto alla specie aliena. Da lì avevamo intuito che la sua scomparsa era solo una degli effetti del cambiamento dell’intero ecosistema.
D: Gli abitanti delle isole si sono accorti di questi cambiamenti?
R: Le persone sapevano che stava succedendo qualcosa di pericoloso. La lumaca non nativa stava distruggendo i raccolti e spingendo sempre più ai margini della foresta quella d’Obȏ. Ma le persone non hanno un legame così forte con la foresta e non sono così sensibili alla sua salvaguardia.
D: Ma come? Un’intera popolazione che vive in una foresta non pensa a difenderla?
R: Devi immaginarti che loro vivono immersi negli alberi. La foresta è una fonte di guadagno e quindi di sopravvivenza. Per loro è un bene da cui attingere, non la vedono come un qualcosa che vada protetto. Non pensano che ce ne sia bisogno. Non capiscono perché si debba smettere di tagliare alberi quando ne sono circondati! Per loro è un paesaggio che non cambierà mai.
Quello che cerchiamo di trasmettergli è proprio questo. Che è importante saper distinguere fra specie native che devono essere difese e specie aliene che possono essere eradicate.
D: Come arriva una specie aliena in un nuovo territorio?
R: Molto spesso tramite il commercio o tramite le persone. Basti pensare a tutti i turisti che arrivano ogni anno; finiamo per diventare noi stessi i vettori di specie aliene.
D: Il turismo è un problema per l’ecosistema delle isole?
V: Purtroppo sì. Infatti, uno dei nostri prossimi obiettivi sarà la sensibilizzazione dei turisti che arrivano qui. Pensiamo che la forza figurativa di questa lumaca possa aiutarci a far raggiungere il messaggio di rispetto verso questi ambienti.
D: Esiste quindi una diversa concezione della natura tra occidente e continente africano?
R: Sì, è legato al contesto in cui si vive. Per quelle persone che vivono nelle metropoli affollate e cementificate la natura è un qualcosa che va salvaguardato, curato. Ci aiuta a rilassarci, e a fuggire dal caos della città. Anche noi ne abbiamo un’idea distorta perché la vediamo sempre come un qualcosa di imprescindibile, che può essere usato a piacimento, ma possediamo buone basi di educazione ecologica.
Per gli abitanti dell’isola africana dove operiamo non c’è il problema della salvaguardia ambientale, la natura fa parte del loro quotidiano, e ne hanno bisogno per sopravvivere. Non riescono a pensare che tutto ciò possa finire o cambiare radicalmente. Come noi non immaginiamo che una città possa scomparire.
È un problema di contesto più che altro, viviamo in habitat diversi e ne abbiamo un diverso punto di vista.
D: Il nostro gigante e la sua foresta si salveranno?
R: Noi ce la metteremo tutta. E gli abitanti dell’isola stanno avendo un impatto estremamente positivo. Noi crediamo di si!
Ringraziamo Martina e Vasco per le loro interessanti informazioni.