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In questo periodo l’industria petrolifera è da tempo sotto accusa come una delle cause principali del riscaldamento globale. Adesso si scopre che questo fenomeno era già stato rilevato da alcuni scienziati ma era stato ignorato. Lo racconta un post di Benjamin Franta (Early oil industry Knowledge of CO2 and global Warming) apparsa sull’autorevole rivista Nature Climate Change. Il pezzo fa riferimento a un altro articolo apparso nel 1960 sulla rivista Tellus. Qui un altro scienziato Charles Keeling riferì che la concentrazione di CO2 al Polo Nord stava aumentando considerevolmente. Le sue misurazioni – iniziate nel 1957 – gli permisero di iniziare a costruire la famosa curva Keeling dal suo nome. (NDR – La curva di Keeling è il più concreto progetto di determinazione della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera nel corso degli anni.) Tale concentrazione, in costante aumento, è principalmente dovuta alla combustione di fossil fuel. Ma c’è di più. I responsabili dell’industria petrolifera sapevano già che i loro prodotti stavano causando un inquinamento da CO2 nell’aria in misura pericolosa. Per cui quando il Comitato consultivo scientifico informò l’allora presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, la stessa associazione dei petrolieri API (American Petrolium Institute) avvertì i suoi membri (ma non la gente comune) del pericolo. Altri ricercatori del resto avevano svolto accurate ricerche sul tema. Pensiamo al geochimico Harrison Brown del Californian Institute of Technology che presentò una proposta di ricerca all’API dal titolo ‘La determinazione delle variazioni e delle cause delle variazioni della composizione isotopica del carbonio in natura’. Il team incaricato aveva già svolto lavori preliminari indicanti che i fossil fuel avevano provocato un aumento nella concentrazione di CO2 nell’atmosfera di circa il 5% nell’ultimo secolo. Naturalmente non tutto l’aumento della CO2 (in totale del 10%) era ascrivibile al fossil fuel: il resto era dovuto alla deforestazione e a cambiamenti di utilizzo del suolo. L’API per la verità non fece spallucce ma nel 1955 iniziò a finanziare una nuova ricerca che era stata proposta alla Caltech con il nome di progetto 53. Arriviamo così al 1959 allorché il fisico Edward Teller avvertì in maniera organica e documentata dell’aumentato pericolo di accumulo di CO2 , della crescita della temperatura globale e dell’aumento del livello del mare. Quello che era stato preannunciato negli anni precedenti veniva adesso definitivamente esposto con rigore scientifico e una gran mole di dati. Quando questo pericolo fu portato all’attenzione del presidente americano Lyndon Johnson l’industria petrolifera ne prese atto. Lo stesso responsabile dell’API Frank Icard ammise che l’anidride carbonica aggiunta alla atmosfera terrestre dalla combustione del carbone, petrolio e gas naturale avveniva a un ritmo tale che il bilancio termico sarebbe stato modificato profondamente. Ciò in modo tale da provocare cambiamenti climatici considerevoli. Icard pur essendo parte in causa non contestava il legame tra combustibili fossili, CO2 e riscaldamento globale. Affermava inoltre – ottimisticamente – che c’era ancora tempo per salvare il mondo dalle conseguenze catastrofiche dell’inquinamento. Aggiungeva però che il tempo stava per scadere. Ricordiamo allora che quando venivano fatte queste affermazioni eravamo attorno al 1965. Tutti insomma agli alti livelli conoscevano la situazione senza ombre di dubbio. Non sembra però che siano stati presi gli accorgimenti necessari e soprattutto che l’opinione pubblica sia stata informata dei rischi che, già allora, stavamo correndo.