Continuiamo a pubblicare l’intervista-fiume di Carlo Coluccio esperto di mobilità ed ex Direttore di Reggio Emilia Innovazione. Nelle precedenti puntate Coluccio ha parlato di mobilità sostenibile, tipi di fossil fuel e loro impatto sull’ambiente e decarbonizzazione. Questa volta parliamo di disinquinamento della pianura padana.
D-Caro Carlo guarda: ci sono due chimici del Max Plank Institute in Germania, Istituto di ricerca autonomo su astronomia, biologia, ambiente, clima, che hanno scritto un lungo articolo su Nature pubblicato in Novembre del 2017. In questo articolo dicono che la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) consiglia che i limiti al particolato siano di dieci parti per milione, che però – secondo i loro rilievi – viene sforato sempre in tutti i grossi centri urbani nel mondo. Ora per quello che so in Italia la responsabilità della salute pubblica appartiene al Sindaco o comunque alla Regione: dunque i decisori politici che cosa possono fare? Possono costringere le persone cioè tutti noi che usiamo i mezzi che vanno a fossil fuel a utilizzare quelli con emissioni ridotte? E quando il particolato supera le soglie stabilite dalla OMS che interventi debbono fare i Sindaci o gli operatori pubblici per abbattere lo sforamento?
C-Guarda, come al solito non si vince per knockout, si vince ai punti. I Sindaci al momento attuale non hanno armi per combattere l’inquinamento delle loro città. E’ un’impresa ardua da realizzare da soli. In effetti bisogna avere una visione globale del problema che spazi in tutte le direzioni. Questo soprattutto nella pianura padana cioè in una macroarea dove occorre un coordinamento che sia sovracomunale, sovra provinciale e sovraregionale.
D-Scusa, tu dici che i sindaci non hanno armi perché non hanno strumenti?
C-Sì, nel senso che l’unica possibilità che hanno (i Sindaci) è quella di fermare i veicoli e non è neppure sufficiente che li fermino nell’area di loro competenza. Prendi la città di Bologna, è chiusa tra la A1, la A 14 e la A 13, cioè è circondata da autostrade sulle quali transitano camion che vanno a gasolio che hanno dei consumi di 3 km con un litro. Quindi non è pensabile che loro (i sindaci) riescano a cambiare la qualità dell’aria in un’area che non è sotto il loro controllo. Di fatto tutto quello che è vicino al comune lo influenza. Ci vuole qualcosa di più di una visione così ristretta. E quindi bisogna iniziare a pianificare il controllo delle emissioni dei veicoli ragionando in maniera più ampia, partendo dai centri e allargandosi all’intera area di influenza. Cioè un poco alla volta, prima definendo le aree urbane dove le emissioni di particolato dovranno essere effettivamente zero passando poi alle aree adiacenti dove nel breve-medio periodo si possono introdurre significative riduzioni delle emissioni. Dal lontano 2008 mi sono occupato di questo argomento ragionando di un trasporto che deve essere modificato per conseguire un reale miglioramento dell’aria. Si è parlato di trasporto a impatto ambientale zero, come ad esempio quello del treno. Per considerare il treno una reale alternativa, sicuramente i treni devono essere puntuali, ma non basta. Sappiamo benissimo che in Italia il trasporto via treno è possibile per arrivare ai grandi centri, ma poi bisogna raggiungere i punti di destinazione con mezzi più piccoli e agili. Alcuni centri di raccolta, esistono già però da questi alle destinazioni nel breve periodo e forse nel medio ancora per un po’ il trasporto su gomma sarà primario. Quindi quello che occorre fare è ragionare su quali mezzi entrano all’interno delle città. L’ideale sarebbe trasformare il trasporto pesante a metano (gassoso o liquido) che non produce particolato e possibilmente a biometano, che ha impatto zero sull’ambiente e i veicoli leggeri potrebbero anch’essi essere alimentati a metano o meglio ancora essere ibridi elettrico-metano per ridurre i consumi e le emissioni di CO2 conseguenti…
D-Come si misurano le emissioni? Cioè l’inquinamento, la CO2, il particolato?
C-Ci sono le centraline messe dall’Arpa (Agenzie Regionali Protezione Ambiente) lungo le strade.
D-Centraline: stai parlando della Emilia Romagna, della pianura padana o di quale area?
C- Di tutti, tutti mettono centraline in posti strategici per vedere qual è la distribuzione delle emissioni nell’arco della giornata.
D-E perché lo fanno? C’è un obbligo di legge, o perché fa parte del loro lavoro?
C- Entrambe le cose, vengono messe allo scopo di monitorare le emissioni in ottemperanza a previsioni di legge.
D-A Milano ci sono, per quel che risulta nel sito Arpa Lombardia, (NDR – ARPA Lombardia Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia) quattro centraline fisse. Secondo te sono sufficienti?
C-Ecco questa è una cosa abbastanza ridicola, vengono messe solitamente nei punti di maggior traffico, non credo però che quattro misure possano rappresentare la qualità dell’aria di una grande città.
D-Per conoscere le emissioni degli inquinanti, ad esempio il particolato, possiamo sapere quante centraline occorrono, ogni quanti km quadrati?
C- E’ tutto da costruire, ma sono cose da specialisti addetti ai lavori.
D-Mai nessuno ha studiato quante centraline occorrono, dove vanno, in funzione del traffico etc?
C-Sicuramente qualcuno lo ha studiato. E’ chiaro che gli ingegneri che aggiornano da sempre gli strumenti e le misure possono creare formule matematiche per avere dei modelli che possano dare una ragionevole certezza che il sistema dia dei risultati accettabili.
D-Mi stai dicendo che chi ha messo le centraline le ha messe a caso…
C-No, certamente no. A Reggio Emilia hanno messo (una stazione fissa) in uno dei posti più inquinati della città, in viale Timavo, dove tra le sette e trenta e le nove la gente porta i figli a scuola e dalle diciassette alle diciannove c’è il rientro dagli uffici.
D-Quindi non è espressivo della reale situazione.
C-Non tutta la città è in quelle condizioni.
D-Adesso ti voglio fare una domanda che covo da mesi. Come si disinquina la pianura padana? Cioè quali sono percorsi tecnici, tecnologici, politici.
C-Come dicevo prima ho affrontato l’argomento poco tempo fa. La strada è chiara. Come in tutte le cose bisogna che evolva la tecnologia che deve dare alla politica gli strumenti per migliorare le condizioni. Ma al tempo stesso ci deve essere una ferma volontà politica. La prima cosa da fare è che i veicoli a combustione con limitazioni progressive debbono uscire dai centri urbani. Non più tardi di ieri un mio amico che abita in Francia mi ha detto: capisco perché l’Italia è sotto procedura di infrazione per inquinamento; in Francia le auto in centro non ci vanno più.
D-Che differenza fa? Se l’intensità del traffico e la quantità dei veicoli resta immutata a cosa serve chiudere i centri urbani? Gli inquinanti ci sono lo stesso…
C-Bisogna procedere come dicevo prima, per centri concentrici allargati. Definire la zona in cui i combustibili fossili non si debbono usare. Regolare il passaggio limitando progressivamente le emissioni, bisogna togliere il particolato dall’atmosfera e allora partiamo dal centro della città. Cominciamo a stabilire che ogni due, tre, cinque anni c’è una riduzione (nelle emissioni consentite) fino ad arrivare a zero. Alla fine in quel posto lì ci vanno solo i veicoli elettrici, per ora alimentati da batterie ricaricabili da rete, domani alimentati da fuel cells (NDR – La fuel cell è un dispositivo elettrochimico che permette di ottenere energia elettrica direttamente da certe sostanze, tipicamente da idrogeno ed ossigeno, senza che avvenga alcun processo di combustione termica) funzionanti a idrogeno, di cui si potrà fare il pieno in analogia con quanto oggi facciamo con benzina e gasolio.
D-Torniamo alla pianura padana…
C-Per la pianura padana bisogna ragionare così. Per quanto riguarda i centri abitati occorre che i veicoli abbiano emissioni progressivamente ridotte, con un progetto di ampio respiro. Diciamo entro dieci anni, nei centri entreranno solo i veicoli elettrici. Poi bisogna ragionare in termini di trasporto pesante e medio pesante (tir e camioncini). Per il trasporto pesante la cosa è più complicata per le elevate quantità di energia richiesta. A mio avviso bisogna gestire la transizione passando al più presto dal gasolio al metano, fino ad arrivare nel medio–lungo periodo a veicoli pesanti che potrebbero anch’essi funzionare con fuel cells a idrogeno.
(Qui finisce la terza parte dell’intervista. Il finale al prossimo numero)